News – Storie di prosecco

Il Prosecco DOC Rosé è un invito alla vita

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La prima volta che lo vedi riempire il tulip, sobbalzi di stupore. È una meraviglia inaspettata, che devia dal binarismo enologico classico bianco/rosso e regala nuovi toni colore anche alle tradizionali bollicine di festeggiamento. Una sfumatura di rosa piena di riflessi dorati e caldi, esaltati dal perlage lieve che risale il bicchiere, incanta anche il più tradizionalista (o scettico) dei bevitori. Serico agli occhi, voluttuosamente fresco in boccabenvenuto Prosecco DOC Rosé, la variante colore (e sapore) che amplia la gamma del vino spumante più famoso e iconico al mondo. Nuova, o per meglio dire rinnovata nel corso degli anni da un’attenzione sempre maggiore, sia da parte del mercato sia dei produttori stessi, che hanno ragionato bolla dopo bolla su come potenziare un prodotto già pregevole di suo. Ogni goccia, ogni bicchiere svelto da servire, ogni bottiglia cui vengono tolti con delicatezza il contrassegno e la capsula, racchiude in sé la assoluta certezza di bere un unicum perfetto, dal gusto pulito e al tempo stesso profondo. In ogni sorso di Prosecco DOC Rosé si percepisce il viaggio in Italia che la filiera di produzione, dalle zolle soffici del Veneto e Friuli Venezia Giulia, si incarica di compiere e far compiere, in un’onda profumata che raggiunge fino all’ultimo tavolino, bancone, granello di sabbia dall’altra parte della penisola.

Ma il giusto riconoscimento, come in ogni necessità o desiderio di valorizzazione che si rispetti, richiede un salto all’indietro per conoscere, dipanare, ricostruire i dettagli che hanno portato fino a lì. Si chiama storia, e il Prosecco Rosé ne ha più di quanta si pensasse. Alla faccia di chi lo derubrica a moda degli ultimi anni, o peggio ancora a variante gradita solo agli stranieri, rimpicciolendone colpevolmente l’importanza storico-enologica. Parzialmente è vero, i vini rosati sono particolarmente apprezzati sul mercato estero, meno su quello italiano (che pure è in lieve crescita), da cui la scelta internazionale di denominare il Prosecco “Rosé”. Ma escluderli a priori produrrebbe un falso storico. È proprio la storia infatti, quella custodita negli archivi e innervata di racconti locali e dati, a ricostruire com’è cominciata l’avventura dello spumante rosato. Alcune fonti hanno evidenziato come la storia inizi addirittura circa 130 anni fa, nel 1880, con i primi timidi blend di uve a bacca bianca e nera, che venivano fatti fermentare con le tecniche artigianali dell’epoca. È stato poi a cavallo del secondo e terzo millennio, tra gli anni Novanta del Novecento e i primi Duemila, che si è riscoperta la tradizione di vinificare uve Glera e Pinot Nero col metodo Martinotti (che è quello con cui si produce il Prosecco DOC) in proporzioni personalizzate, spesso creative e totalmente a libera interpretazione. Il primo mattone della realizzazione e costruzione della storia personale del Prosecco Rosé. Un disciplinare millimetrico come quello del Prosecco DOC mette in campo analisi chimiche, analisi organolettico-sensoriali, tempi di maturazione delle uve e di vendemmia, durata delle fermentazioni e via lungo il processo dell’intera produzione, parametri e precisi punti imprescindibili.

A molti sembrano solo freddi numeri da rispettare, la burocrazia del disciplinare è letta spesso come gioco all’estro creativo dei produttori, ma in realtà è l’unica garanzia di eccellenza che copre tutta la filiera dal primo passo, dalla zolla di terreno fino al sorso nel bicchiere. La prima volontà di accludere la tipologia Rosé nella tutela del Consorzio è iniziata nel 2009, ma non c’erano ancora movimento e attenzione alla spumantizzazione del connubio Glera&Pinot Nero (vinificato in rosso). Di fronte alle richieste sempre maggiori del mercato, in crescita proporzionale, fissarne i punti chiave è diventata un’urgenza: a settembre 2017 sono iniziate le prime sperimentazioni, e il disciplinare aggiornato è entrato in vigore ufficialmente  l’11 agosto 2020. Le uve del Pinot Nero maturano tra la metà e la fine di agosto, le uve Glera circa due settimane dopo.

È una staffetta di attese, durante la quale le uve di Pinot Nero vengono messe a contatto con le bucce per 5/10 giorni, a seconda della sfumatura di colore che il produttore vuole regalare al proprio Prosecco Rosé. Nel frattempo procede a vendemmiare le uve Glera, si liberano quelle di Pinot Nero dalle bucce e si procede al blend, rispettando la proporzione del disciplinare (85-90% Glera, 10-15% Pinot Nero) e quattro tipologie di “zuccherinità”, che vanno dal Brut Nature all’Extra Brut, fino al Brut e all’Extra Dry. La spumantizzazione dura almeno 60 giorni, il doppio rispetto al Prosecco DOC, per conferire una maggiore stabilità e complessità, sia olfattiva sia gustativa, con note avvolgenti e piacevoli. Da lì, è gusto e abbinamento personale. Ma c’è un immaginario insostituibile che precede, e abbraccia, la scelta del Prosecco DOC Rosé: la freschezza, la vivacità di un momento di fuga dal quotidiano, l’idea lieve del rosa primaverile anche in pieno autunno. I sentori di fiore di acacia, di violetta e glicine, e la pienezza dei frutti rossi con un tocco di mela verde e agrumi, sono esaltati da un’effervescenza che è un invito alla vita. A brindare, dolcemente, al proprio qualcosa da festeggiare.

 

 

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